Il Mediterraneo

ponte di speranza tra la terra di partenza e quella di arrivo

 

Mediterraneo cimitero. Mediterraneo culla di civiltà. Mediterraneo spazio di incontro tra popoli e culture…sono varie le possibili identità che può assumere quest’area geografia tanto strategica e rilevante da vari punti di vista, da quello geopolitico a quello pastorale.

Dal 17 al 24 settembre 2023 a Marsiglia si è tenuto un importante appuntamento dal titolo “Incontri del Mediterraneo. Marsiglia: mosaico di speranza”. È il terzo appuntamento, dopo quello di Bari (2020) e di Firenze (2022), che ha visto riuniti i vescovi delle diocesi che si affacciano sul Mediterraneo ed è stato caratterizzato nelle giornate finali anche dalla presenza di papa Francesco.

Il Mediterraneo torna al centro della riflessione della Chiesa, ma è sempre al centro del cuore del Papa, continuamente preoccupato per le tante vittime innocenti che in questo mare vedono spegnere il loro sogno di un futuro migliore per sé e per i loro cari.

In questa cerniera che collega il continente africano a quello europeo si sta giocando una partita internazionale, che vede coinvolte le potenze mondiali, spinte da interessi geopolitici ed economici. Le vittime di questi interessi sono uomini, donne e bambini trattati come numeri e usati ai soli fini elettorali. Un business economico non da poco, gestito dalla mafia libica e finanziato dagli Stati europei, più preoccupati della loro incolumità che di combattere l’ingiustizia.

Il Mediterraneo continuerà ad essere “un cimitero a cielo aperto”, come lo ha definito papa Francesco, se non si innesteranno nuove logiche economiche e politiche, che puntano a ridare stabilità ai Paesi dell’Africa subsahariana e a creare rotte di ingresso legali e protette verso l’Europa. Si tratta, dunque, di ridare a questo mare la sua vocazione originaria di incontro e di dialogo tra i popoli e le culture, un ponte verso l’Europa carico di speranza che nasce da politiche e progetti concreti di accoglienza.

Da Marsiglia, definita dal Pontefice “sorriso del Mediterraneo” e “capitale dell’integrazione dei popoli”, è stato rilanciato un cammino di conversione e di azione anche per la chiesa, non solo quella che si affaccia su queste sponde del mare, ma per tutti coloro che si prodigano in modo concreto per il servizio ai migranti e ai rifugiati.

A partire dalle caratteristiche della città di Marsiglia, papa Francesco ha proposto tre immagini per descrivere lo stile che si aspetta dalla sua chiesa: il mare, il porto, il faro.

Alla luce anche del primo convegno del Mediterraneo a Bari si è identificata un’azione sociopastorale basata su una triplice presenza, già presente nel pensiero di San Giovanni Battista Scalabrini, che alla fine dell’800 chiedeva ai suoi missionari di farsi “compagni dei migranti”, tramite una presenza nei porti di partenza, sulle navi e nei porti di arrivo.

Questa triplice azione è particolarmemnte utile per tutta l’area Europa-Africa per ridefinire e attualizzare l’azione sociopastorale secondo le tre direttrici che mettono insieme le dinamiche migratorie e i contesti in cui avvengono: in Africa per la partenza, nei Paesi che si affacciano nel Mediterraneo per il transito, in Europa per l’arrivo.

Avere una presenza “pastorale” in Africa che rispecchi la direttrice della partenza implica, a mio avviso, l’applicazione di un modello di presenza mobile, che sappia adeguarsi velocemente ai continui sviluppi delle rotte migratorie.

Dall’Africa si emigra per una combinazione di fattori (guerre, povertà, sovrappopolamento, cambiamenti climatici), spesso tra di essi intrecciati. Le condizioni geopolitiche africane sono tali che non è assolutamente possibile catalogare in un’unica tipologia i migranti, in quanto ci sono rifugiati tout court, ci sono migranti economici, sfollati interni e non da ultimo i migranti climatici.

Solo nella zona del Sahel (Mauritania, Mali, Niger, Nigeria, Chad, Sudan ed Eritrea) si concentrano varie criticità: desertificazione, conflitti armati, povertà e attacchi terroristici. Le crisi climatiche naturali o indotte e l’instabilità politica dell’area generano notevoli spostamenti di persone, tra cui i cosiddetti “migranti ambientali”, da vari anni ormai oggetto di un sempre maggior interesse scientifico, perché non hanno ancora un riconoscimento giuridico, che permetta loro di godere della protezione internazionale. Da un punto di vista climatico, difatti, varie sono le cause che costringono interi popoli ad una emigrazione forzata: la desertificazione e la siccità dei territori (non ultimo in Siria!), l’innalzamento del livello del mare, il cambiamento degli ecosistemi per gli animali, le piante e la biodiversità. Se a questi gruppi aggiungiamo coloro che fuggono in seguito alle guerre, alle persecuzioni, alle pressioni dettate dalla povertà e dall’incremento demografico, capiamo che il fenomeno migratorio in questa regione è molto ampio. Come apprendiamo dagli studi scientifici in materia, però, la maggior parte di coloro che lasciano le loro terre resta all’interno del continente africano, cercando spesso rifugio nei paesi limitrofi. Altro fattore non meno importante è la condizione instabile di tanti Paesi dell’Africa subsahariana, quali il Niger – recentemente al centro degli interessi internazionali con un intervento di Stati Uniti, Cina e Russia, e con la Francia che ha deciso di ritirare le truppe -, la Tunisia, la Nigeria e gli altri Stati del ECOWAS (Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale).

Cosa vuol dire farsi “migranti con i migranti” in questo contesto socio-politico? Quale tipo di presenza sociopastorale in una realtà connotata da una così forte mobilità umana? A mio parere due dovrebbero essere gli elementi caratterizzanti: la mobilità e l’azione umanitaria. La prima implica una presenza che con un’immagine possiamo definire “della tenda” più che della casa, con una struttura leggera e fluida in continua riformulazione a seconda della direzione degli spostamenti. Una presenza, questa, che sa di vulnerabilità e di incertezza, caratteristiche queste della stessa migrazione.

L’azione umanitaria invece è contraddistinta da una presenza in luoghi e contesti in cui è richiesto un aiuto sociale, più che pastorale.

Una variante che potremmo definire “più stabile” a questa prima più fluida, potrebbe essere quella di una azione concreta nei Paesi dell’Africa, in particolare Marocco, Tunisia, Libia o Egitto. In queste terre si concentrano la gran parte dei migranti che cercano di attraversare il Mediterraneo per giungere in Europa e che si confondono e si mischiano nelle loro diverse tipologie: dal migrante climatico al rifugiato al migrante economico. Tutti, da questo punto del viaggio in poi, cercano un varco via terra (rotta Occidentale o rotta balcanica) o via mare per entrare in Europa.

È questa la seconda direttrice: il transito. Essere presenti nell’area del Mediterraneo è essa stessa una grande sfida, perché richiede una presenza con competenze diverse da quelle strettamente pastorali tipiche delle parrocchie o missioni linguistico-culturali in Europa. Vari possono essere i modelli da mettere in campo: da una maggiore attenzione pastorale nei porti delle città che si affacciano sul mare – Marsiglia è una di queste -, a collaborazioni a sostegno delle conferenze episcopali locali, interessate alla formazione di equipe da destinare all’organizzazione e gestione della pastorale della mobilità umana, rispondendo all’invito del Papa che a Marsiglia ha proposto un lavoro più sinergico “valutando l’opportunità di una Conferenza ecclesiale del Mediterraneo”. Non meno importante è il lavoro diplomatico per la costituzione di corridoi umanitari che garantiscano l’ingresso legale e protetto a quanti desiderano giungere in Europa.

L’ultima direttrice è l’arrivo, che geograficamente corrisponde ai Paesi dell’Europa centrale, chiamati ad accogliere, proteggere, promuovere e integrare i migranti, di qualunque tipologia essi siano. È sotto i nostri occhi, però, la fatica dei Paesi europei, sempre più guidati da governi contrari all’accoglienza dei migranti, di giungere ad un patto comune sulle migrazioni in chiave positiva e non allarmistica. Le sfide sul territorio europeo sono varie: da un lavoro giuridico per garantire protezione ai migranti climatici, ad una gestione e ridistribuzione tra i Paesi europei dei richiedenti asilo, a programmi d’inserimento lavorativo per i migranti economici, per scongiurare, a causa della loro precarietà e della disoccupazione, di essere sfruttati della criminalità organizzata e di alimentare il fenomeno criminale della tratta di esseri umani.

Una più concreta azione sociopastorale in Europa andrebbe ridefinita a partire da queste urgenze: costituzione di comunità ecclesiali accoglienti, tramite una pastorale interculturale ed interreligiosa; un’azione interdisciplinare nel campo dell’advocacy e degli organismi giuridici internazionali; un investimento costante e convinto nella formazione delle nuove generazioni, come strumento privilegiato per abbattere i pregiudizi, evitare i fondamentalismi e costruire percorsi di pace tra i popoli.

Occorre, dunque, una riformulazione delle dinamiche pastorali europee nell’ottica della specificità e delle nuove sfide che la mobilità umana presenta. E occorrono nuovi profili professionali che sappiano agire in modo diversificato in questi ambiti d’azione.

Papa Francesco ha concluso il suo messaggio a Marsiglia parlando della sfida di una “teologia mediterranea”. Pensando alle tre direttrici (partenza, transito e arrivo), credo che queste possano essere considerate le categorie teologiche da cui partire per sviluppare una teologia del Mediterraneo, una teologia concreta, appunto, che rilegge le tappe del cammino dell’umanità migrante nell’ottica della speranza di una liberazione dalla moderna schiavitù, in cui Dio è colui che ascolta il grido di dolore del suo popolo, e ogni uomo e donna che il migrante incontra lungo il suo cammino è lo strumento per giungere alla nuova terra promessa.

Antonio Grasso, cs