La seconda domenica di luglio ricorre la Domenica del Mare.
La Chiesa in questa giornata prega e ricorda i pescatori ed oltre un milione di marittimi che lavorano instancabilmente sulle enormi imbarcazioni che trasportano ogni giorno merci nel mondo intero.

Fin dal suo inizio, la Chiesa cattolica, attraverso le sue strutture quali diocesi, parrocchie, patronati, organizzazioni laiche e congregazioni religiose, ha fornito assistenza materiale e spirituale alle persone del mare. Il tipo di servizio e assistenza offerto variava in base alle necessità e alle condizioni dei tempi e dei luoghi.

Nonostante l’importanza cruciale dei lavoratori del mare per l’economia globale, vanno evidenziate tra le sfide emergenti: l’isolamento, la lontananza e l’invisibilità dei marittimi. I marittimi trascorrono spesso molti mesi in mare (9 mesi), lontani dalle loro famiglie e comunità di origine. La lunga assenza dal contesto d’origine priva il marittimo del senso di appartenenza, creando stress, ansia e solitudine, e causando difficoltà nel reinserimento a terra e problemi di salute mentale. Inoltre, la strutturale lontananza dei porti dalle città contribuisce ad isolare significativamente i marittimi, rendendoli di fatto invisibili alla società.

In questo contesto, la presenza della Chiesa attraverso i centri Stella Maris rappresenta un presidio significativo che offre ascolto attento e crea un senso di comunità nei centri portuali, diventando così un punto di riferimento essenziale per i marittimi. Tuttavia, emerge la difficoltà in diversi porti nel mondo di attuare la MLC del 2006 di rilasciare ai marittimi il permesso di scendere a terra (shore pass) per visitare la città e raggiungere i centri Stella Maris oppure viene negato l’accesso dei cappellani e dei volontari a bordo delle navi. Questo ostacola l’azione di promozione da parte della Chiesa del benessere integrale del marittimo contribuendo ad isolare e rendere invisibili i lavoratori del mare.

Quando mi trovavo a Genova in servizio come aiuto cappellano della Stella Maris, fui chiamato per andare a bordo di una nave dove era avvenuto un incidente mortale, aveva perso la vita un marittimo di 54 anni tranciato da un cavo d’ormeggio mentre la nave era in porto. Trascorsi parecchie ore giù dalla nave in attesa dell’espletamento delle funzioni della polizia giudiziaria. Finalmente riuscii a salire a bordo ed incontrai l’equipaggio seriamente provato dall’accaduto. Il comandante della nave era in evidente stato di shock, gli proposi di parlare in privato. Mi ricevette nel suo alloggio, appena chiusa la porta gli rivolsi una semplice domanda, “Come stai?”. L’uomo che avevo davanti sulla cinquantina, con una lunga esperienza di navigazione, sposato con moglie e figli, scoppio in pianto. Mi riferì che dal momento in cui era accaduto l’incidente erano saliti a bordo della nave all’incirca una trentina di persone tra personale medico sanitario, polizia giudiziaria, capitaneria di porto, agenti marittimi, ed altro personale e nessuno gli aveva posto quella domanda, nessuno si era interessato a lui personalmente. Probabilmente se non ci fosse stato quell’incontro a bordo della nave, quel comandante non avrebbe trovato vicinanza e umanità in quella situazione dolorosa. Il compito della Chiesa, esperta di umanità come diceva Paolo VI (Populorum Progressio, 1967), è proprio quello di essere vicino a chi è nella sofferenza.

Un’altra rilevante sfida su cui voglio attirare la vostra attenzione è quella legata alle condizioni di lavoro precario, lo sfruttamento lavorativo e la sicurezza. Nonostante le normative internazionali (Cfr. MLC, 2006), molti marittimi sono ancora vittime di condizioni di lavoro disumane, salari bassi, contratti ingannevoli, equipaggi ridotti al minimo con il conseguente aumento del carico di lavoro. E in alcuni casi, soprattutto nell’industria della pesca, di forme moderne di schiavitù e traffico di esseri umani. Si verificano anche episodi di bullismo e abusi di potere e sessuali, spesso taciuti per paura di perdere il lavoro o subire ritorsioni. Un fenomeno correlato allo sfruttamento lavorativo è quello delle navi abbandonate. A Ravenna, negli ultimi anni, ci sono stati diversi casi di equipaggi lasciati senza supporto. L’armatore, a causa degli elevati costi di manutenzione per la sicurezza richiesti dalle autorità competenti per lasciare il porto e riprendere la navigazione, può decidere di abbandonare la nave in porto. Questo rappresenta un grave danno non solo a livello umano e lavorativo per il marittimo, che dovrà affrontare una situazione di stress e abbandono, ma anche a livello economico, poiché sarà costretto a intraprendere azioni legali per recuperare il suo salario e vedersi riconosciuti i diritti lesi. In questo ambito esiste a Ravenna una positiva esperienza di sinergia tra il Comitato di Welfare Territoriale della Gente di Mare e la Stella Maris per sostenere il marittimo legalmente, nel rimpatrio e nel recupero del salario attraverso la vendita della nave sequestrata.

Ugualmente la sicurezza rappresenta una sfida importante nel settore marittimo. Le guerre in corso hanno ridisegnato le rotte delle navi, aumentando i giorni di navigazione dei marittimi ed esponendo gli equipaggi delle navi al pericolo di diventare bersaglio militare. Anche a bordo delle navi la sicurezza rappresenta una sfida: l’innovazione nel settore dell’automobilismo ha posto il problema legato ai rischi del trasporto delle auto elettriche su navi: l’incendio di un veicolo elettrico è più difficile da estinguere, rispetto agli incendi tradizionali a bordo di navi. Anche l’utilizzo dei nuovi carburanti come l’idrogeno e l’ammoniaca rappresenta una sfida importante per la sicurezza. Si stima, secondo l’Agenzia Europea per la Sicurezza Marittima, che entro il 2030 saranno circa 450.000 i marittimi a doversi formare per gestire la sicurezza di questi combustibili alternativi[1]. Anche i nuovi sistemi di navigazione creati per migliorare l’esperienza di navigazione dei marittimi possono andare in “jamming” creando incidenti e mettendo a repentaglio la vita di chi naviga.

La Chiesa, attraverso i suoi cappellani e volontari, è impegnata su questi fronti denunciando le ingiustizie e fornendo assistenza alle vittime. Con l’advocacy, la Chiesa interviene a livello internazionale difendendo i diritti dei marittimi e pescatori, collaborando con organizzazioni marittime e governi al fine di promuovere condizioni di lavoro eque, dignitose e sicure.

Di notevole importanza è la sfida della globalizzazione e della multiculturalità. Gli equipaggi delle navi sono spesso un microcosmo composto da persone di diverse nazionalità, culture, lingue e religioni. La convivenza a bordo di spazi ristretti può diventare di fatto per le persone che navigano per diversi mesi insostenibile, soprattutto se essa deve confrontarsi con situazioni di emergenza.

Ad esempio, una volta fui contattato al centro Stella Maris di Ravenna per un marittimo che si era infortunato a bordo: cadendo da una scala, si era spezzato entrambe le braccia. Gli infortuni sulle navi sono frequenti, e con i volontari visitiamo i marittimi malati negli ospedali, fornendo loro l’essenziale fino alla partenza. In ospedale incontrai il marittimo e scoprii che si era ferito qualche giorno prima, ma aveva segnalato l’incidente solo all’arrivo in porto. Si era nascosto per oltre un giorno nella cabina di un collega della stessa nazionalità che rappresentava una minoranza sull’intero equipaggio della nave. Questo ragazzo mi rivelò che temeva di non essere compreso dai suoi colleghi ed ora che non poteva più svolgere il suo lavoro di essere gettato in mare e abbandonato al suo destino. Proprio in questi casi, i cappellani e i volontari della Stella Maris sono chiamati ad essere ponti di dialogo e comprensione, offrendo supporto a tutti, nel pieno rispetto delle loro convinzioni, promuovendo l’armonia e la cooperazione a bordo.

Un’odierna sfida è l’impatto della tecnologia nell’industria marittima. L’automazione e la digitalizzazione stanno trasformando profondamente il lavoro marittimo, portando a nuovi tipi di stress e a una ridotta interazione umana a bordo delle navi. Su questo fronte molti welfare providers hanno puntato sulla tecnologia sviluppando app e sistemi di interazione virtuale come “virtual chaplain”. In risposta a questo, l’azione pastorale della Chiesa, pur riconoscendo come prioritario il contatto umano e della relazione personale, è chiamata a trovare soluzioni innovative per raggiungere i marittimi, anche attraverso strumenti digitali.

Va richiamata l’attenzione anche su due aspetti attuali del mondo marittimo che troppo spesso restano in secondo piano: le sfide che affrontano i marittimi delle navi commerciali nel soccorso ai migranti, e il ruolo attivo dei pescatori nella salvaguardia degli ecosistemi marini.

Da un lato, i marittimi delle navi mercantili si trovano sempre più spesso a dover intervenire in operazioni di salvataggio in mare. Queste navi, progettate per il trasporto di merci e non per l’assistenza umanitaria, devono improvvisare soluzioni di emergenza a bordo, gestire situazioni complesse e spesso drammatiche, e affrontare lunghe attese per l’assegnazione di un porto sicuro. È una sfida umana, tecnica e legale che questi equipaggi affrontano con professionalità, spirito di solidarietà e rispetto del diritto del mare.

Dall’altro lato, è doveroso valorizzare l’impegno dei pescatori nella tutela dell’ambiente marino. In molte realtà italiane ed europee, sono proprio loro a guidare progetti di raccolta dei rifiuti in mare, il cosiddetto “fishing for litter”, e a denunciare il degrado degli habitat marini. Con la loro conoscenza diretta dei fondali e degli equilibri naturali, i pescatori si stanno trasformando da semplici operatori economici a custodi attivi del mare.

Questi due contesti distinti sono entrambi caratterizzati da una profonda consapevolezza del valore del mare. Coloro che vivono quotidianamente con l’ambiente marino ne riconoscono l’importanza e si impegnano attivamente nella conservazione della vita, sia umana che naturale.

La Chiesa può rappresentare una voce profetica nel denunciare l’indifferenza e l’ostilità nei confronti del dovere di soccorso in mare, richiamando i valori evangelici di accoglienza, giustizia e solidarietà. Sul fronte ambientale, alla luce dell’enciclica Laudato Si’ (2015), la Chiesa è chiamata a valorizzare il ruolo dei pescatori come custodi del Creato, valorizzando pratiche sostenibili e progetti locali che combinino il lavoro e il rispetto per il mare.

In conclusione, l’azione della Chiesa a favore dei marittimi attraverso il ministero pastorale dell’Apostolato del Mare, supportato dai centri Stella Maris e dal lavoro dei cappellani e volontari, rappresenta una testimonianza tangibile della sua missione di servizio e carità nel settore marittimo.

In un mondo sempre più interconnesso ma al contempo frammentato, la presenza solidale della Chiesa nei porti di tutto il mondo continua a essere un simbolo di speranza e un segno tangibile della sollecitudine di Cristo verso coloro che navigano per mare.

Vicenzo Tomaiuoli, cs

Direttore Ufficio per la Pastorale dei Migranti e Apostolato del Mare

Arcidiocesi di Ravenna-Cervia

[1] Cfr. Carruezzo Abele, Regolamento FuelEU Maritime: lo shipping si prepara all’uso di carburanti verdi per il 2025, https://www.ilnautilus.it/trasporti/legislazione/2024-12-22/regolamento-fueleu-maritime-lo-shipping-si-prepara-alluso-di-carburanti-verdi-per-il-2025_154330/, 21/06/2025.